L’ipotesi più affascinante vorrebbe Taverna erede della
mitica Trischene, città originata dai tre tabernacoli, Treis
Schenè, fatti edificare da tre sorelle di Priamo, in fuga dalla distrutta Troia ed approdate
ad Uria, nei pressi dell’attuale Sellia Marina.
Leggenda a parte, un certo riscontro storico si ha dal
ritrovamento d’alcune monete, con riprodotti i tre tabernacoli ed il Minotauro, e soprattutto dalla
Chronica Trium Tabernarum, che in epoca bizantina
descrive una città situata sulla costa ed appunto nota come Trischene o
Tre Taverne. L’antica città sarebbe stata fondata in realtà da coloni
e profughi greci ben prima di Kroton, della quale avrebbe in seguito subito
l’egemonia. Colonia, ma mai municipium, dei Romani, alla caduta dell’impero
fece parte dei domini di Bisanzio, ricevendo, nel 639, notevoli privilegi da
Eraclio per la fedeltà verso la corona. Sempre nel periodo bizantino, vi si
stabilì una numerosa comunità greca che diede origine ad una vera e propria
fazione in perenne contrasto col resto della popolazione, prevalentemente latina.
Le incursioni saracene, terribili quelle dell’852 e del
924, causarono l’abbandono della città, con la separazione delle due comunità:
la latina si rifugiò sul Monte Selion, fondando l’attuale Sellia Superiore;
la greca sul Monte Panormite, ricostruendo Trischene, oggi Taverna Vecchia.
Origini greche, quindi, per l’odierna Taverna, il cui primo
nucleo risale al X-XI secolo, secondo l’ipotesi appena accennata.
Altra opinione vorrebbe una più antica origine, fine epoca
romana, di tale primitivo borgo, con un procuratore di Niceforo Foca, Gorgolano,
che avrebbe trasformato in villaggio una stazione di sosta, una taberna appunto,
sulla strada tra la Sila e la costa ionica.
Qualunque siano, le origini di Taverna sono antiche in ogni
caso, se è vero che alla fine del X secolo era già un importante centro
politico e culturale, profondamente influenzato dalla presenza dei monaci
basiliani, fondatori nel 970 dell’Abbazia di Santa Maria di Peseca e, forse,
della Chiesa di San Michele Arcangelo, sede dell'Episcopio, poi trasferito a
Catanzaro, nel 1122, da papa Callisto II. Città alquanto scossa da continui
contrasti tra le famiglie più in vista, sembra, che nemmeno Tuscanio
Lusignanna, patrizio del Crotonese, riuscì ad appianare, benché invocato a tal
scopo dalla popolazione nel 1055. Fu la conquista normanna, verso il 1060, che
normalizzò la situazione, soprattutto quando Baiolardo, nipote di Roberto il
Guiscardo e da questi nominato feudatario, allontanò dodici tra le famiglie più
sediziose in altrettanti casali del circondario, già esistenti o creati ad hoc.
A Baiolardo si deve anche la costruzione di un più
efficiente sistema difensivo, compreso il cosiddetto Torrazzo, imponente
fortezza ed ultimo rifugio di Clemenza, contessa di Catanzaro, durante le guerre
feudali che verso il 1160 insanguinarono la regione. Imponente, certo, ma non
inespugnabile il Torrazzo, vinto e saccheggiato nel 1162 dalle truppe di
Guglielmo I il Malo, che imprigionarono Clemenza e distrussero la città.
Passarono oltre trent’anni e fu necessario il sostegno ad Enrico VI di Svevia
nella guerra contro Tancredi D'Altavilla, perché la città
fosse ricostruita, nel 1194, anche se la sua importanza scemò notevolmente,
fino ad essere ridotta a semplice baronia nella contea di Catanzaro, le cui
vicende condivise per oltre due secoli.
Appannaggio della casa Durazzo, nel periodo angioino, nel
1424 fu pertinenza di Covella Ruffo, anch’essa rifugiatasi nel Torrazzo e
fatta prigioniera, due anni dopo, dal cognato Francesco Sforza in quel contesto
di sconvolgimenti politici e sociali che fu la guerra tra Angioini ed Aragonesi.
Ed a tale guerra Taverna pagò un tributo altissimo, subendo nel 1459 la seconda
distruzione della sua storia, questa volta così radicale da costringere i
superstiti al trasferimento nel vicino casale di Bompignano, abbandonando quella
che oggi è conosciuta come Taverna Vecchia.
Taverna Nuova divenne rapidamente un vivace centro culturale
ed economico, forte della sua autonomia poiché città demaniale, privilegio
concesso già nel 1443 da Alfonso d'Aragona. Evitato così il dispotismo dei
feudatari, la città ebbe un governo politico autonomo, retto dal Sedile
Patrizio, una specie di parlamento i cui membri appartenevano all'aristocrazia locale.
Il periodo d’oro di Taverna durò per tutto il XVII e per
buona parte del XVIII secolo, anche se i primi segnali di declino si ebbero già
dal 1630, quando la città fu costretta a pagare un forte riscatto al Principe
Ettore Ravaschieri, cui era stata venduta da Filippo IV di Spagna, per
riacquistare l’autonomia. In ogni caso furono molti i frutti di quello che
qualcuno definisce piccolo rinascimento, sostenuto ovviamente dal notevole
sviluppo economico e sociale di tutto il vasto e ricco territorio pertinente alla
città, nel quale l’ambiente culturale trovò fertilissimo terreno.
Si ebbe così un fiorire d’apprezzati cenobi artistici e
letterari, oltre che di studi canonici e giuridici, capaci di attrarre
personalità da tutta Italia; non minore fu l’attività religiosa, con la
presenza di diversi ordini monastici, cinque conventi, otto chiese e le
tre confraternite laiche del Sacramento, del Carmine e del
Rosario, istituzioni tutte riportate nella Relazione ad Limina del Vescovo di
Catanzaro, Nicolò Orazi, del 1582.
Non può mancare in questo contesto un accenno a Mattia
Preti, universalmente considerato il più importante pittore calabrese,
che a Taverna ebbe i natali il 24 febbraio 1613.
Al lento ed inesorabile declino, contribuirono i mai sedati
contrasti tra i nobili, il clero e le confraternite, oltre al già citato
riscatto pagato al Principe Ravaschieri, che svenò la popolazione. Il colpo di
grazia lo inflisse certamente la natura, spietata come fu in tutta la regione col
terremoto del 1783.
Taverna non seppe più riaversi, sebbene capace di mantenere
quello spirito aperto alla novità ed al progresso che nel 1799 la spinse
favorevolmente verso la Repubblica Partenopea, pagandone lo scotto alla reazione
sanfedista. Comune secondo l’ordinamento amministrativo del generale
Championnet del 1799, divenne sede di governo con i Francesi, nel 1807, e
capoluogo di circondario nel 1811.
Il restaurato regno dei Borboni vide la città ormai
abbandonata dalle famiglie gentilizie, ma pervasa dalle idee liberali ed
attivamente impegnata in quei moti risorgimentali che avrebbero portato
all’unità d’Italia.
Il resto è storia comune a tutta la Calabria, fatta di brigantaggio,
fenomeno triste quanto superficialmente giudicato, di miseria,
d’emigrazione e di politici incapaci perfino di conservare l’enorme
patrimonio artistico che a ragione Taverna vantava e di cui rimane una minima parte. |