"Scilla ivi alberga, che moleste grida di mandar non ristà" ecco come Circe nell'Odissea avverte Ulisse costretto
a far rotta verso lo stretto per raggiungere Itaca, prima che questi prenda il
mare con i suoi compagni, sei dei quali verranno carpiti dal mostro sulla rupe.
"Assorbe
la temuta Cariddi il negro mare"continua Circe, "tre fiate il rigetta, e tre nel giorno
l'assorbe orribilmente…, a Scilla tienti vicino e rapido trascorri".
Nel dodicesimo libro dell'Odissea, Omero canta il mito di
Scilla e Cariddi, antico monito alla prudenza e all'equilibrio nel cammino
difficile della conoscenza.
Omero cantava Scilla, mostro gigantesco con dodici piedi, sei colli e sei
teste, che sporgeva con metà del corpo da una grotta a mezza costa su uno
scoglio.
Gli antichi greci immaginavano questo mostro rabbonirsi solo per tendere la mano
alla siciliana Cariddi.
Ma si tratta solo di un mito? In realtà ventisette secoli fa Omero fu molto
preciso specialmente se viene preso in considerazione che ancora oggi pescatori
e guide avvertono che fra Scilla e Cariddi, a causa del livellamento dei
bacini tirrenico e jonico, si formano correnti che si alternano ogni sei ore: la "montante" verso nord e la "scendente" verso
sud. Il risultato è un forte rimescolio delle acque che può essere talmente
violento da generare impetuosi gorghi mettendo in serio pericolo le piccole
imbarcazioni che navigano nel tratto compreso tra i vortici di Cariddi e
la pericolosa rupe di Scilla.